Storia del Lambrusco – 6° puntata

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Continuiamo a riproporre l’opera di Guido Montaldo, “Il Lambrusco, un vino dalle origini antiche, dal gusto moderno“, pubblicazione della Camera di Commercio di Modena e dal Consorzio Marchio Storico dei Lambruschi Modenesi.

 

Crescenzi PieroRiguardo alle viti lambrusche, il Pietro De Crescenzi scrive nel Liber ruralium commodorum (scritta tra il 1304 e il 1309): “Vi sono anche alcune qualità di uve selvatiche, che si chiamano Labruste, alcune delle quali sono bianche, altre nere; fanno dei chicchi assai piccoli e piccoli grappoli e salgono con movimento naturale sugli alberi e sopra le siepi di spine verdi; esse non vengono potate, ma se si potassero e se fossero addomesticate con la coltivazione, farebbero grappoli più grandi e chicchi più grossi di prima, e quelle che sono nere tingono il vino e lo chiarificano, se si pongono nei tini intere o pigiate con i loro graspi, e non viziano il sapore del vino; e quelle che sono bianche chiarificano e purificano i vini bianchi”.

 

Fondamentale è questa testimonianza, perché ci permette di capire che ancora nel medioevo non si era giunti ad una domesticazione vera e propria delle viti selvatiche, almeno nella coltivazione, che veniva lasciata all’esuberanza della natura, non ottenendo però un prodotto considerato ottimale, a detta del De Crescenzi.

 

Nonostante gli aspetti qualitativi lasciassero a desiderare, una testimoninaza del 1323, trascritta nel Liber censuum di Modena, parla di uve lambrusche (castellatarum lambrusche), una grande produzione evidentemente, vendute su quella piazza secondo l’unità di misura utilizzata tradizionalmente in Emilia, la castellata (una castellata corrispondeva a sette quartari, cioè 712, 682 litri).

 

XV secolo, Produzione di vino - Illustrazione francese ispirata al Trattato della agricoltura di Pietro de’ Crescenzi

XV secolo, Produzione di vino – Illustrazione francese
ispirata al Trattato della agricoltura di Pietro de’ Crescenzi

Continua…

 

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