Il tortellino: le nostre radici, la nostra identità.

Un articolo scritto dal direttore Ermi Bagni per Bubble’s, il magazine sul mondo delle bollicine italiane che in occasione di Vinitaly ha presentato la sua quarta uscita con degustazione di Lambrusco DOP.

Nella storia può accadere che una mente umana produca qualcosa di talmente inatteso da rendere difficile decidere se sia maggiore la sorpresa o il fatto che qualcuno ci sia riuscito.

Se si parla di specialità e tradizioni gastronomiche, in Italia devi fare i conti con l’ombra del campanile: come minimo ci sono due storie, due verità che si contendono il primato dell’idea.

E pensare che Einstein girava senza taccuino in quanto sosteneva che gli venivano poche idee.

Se si parla di tortellini la mente corre subito al cuore dell’Emilia, alle due torri bolognesi o alla torre Ghirlandina di Modena per restare nell’ambito dei campanili.

Lungi da me voler rinfocolare la tenzone descritta da Alessandro Tassoni nel poema “La Secchia Rapita”. Tuttavia un certo grado di consenso sembra convivere intorno alla ricetta del “tortellino modonese” scritta da Filippo Cavazzoni datata 1869 dispensiere di casa Molza e da quella del tortellino bolognese pubblicata sulla prima edizione del ricettario Artusi.

Ma quali segreti sono racchiusi in questa intuizione gastronomica che proviene dalla notte dei tempi e come ci ricorda il manoscritto del Messisburgo ebbe inizio per non buttare il cibo che rimaneva dai banchetti di corte?

I segreti non si esauriscono mai, almeno finché ci sono uomini che hanno voglia di cercarli.

Ricordo la mensa rustica delle case di campagna della media pianura modenese dove governava la massaia (rezdora in dialetto modenese). In principio erano i tortellini: impasto per il ripieno lasciato ad amalgamarsi al fresco, prosciutto, lombo di maiale, polpa di vitello, polpa di gallina, parmigiano reggiano, uova, profumo di noce moscata, l’insieme appena scottato.

Da questo momento entra in campo la rezdora, la si può paragonare ad un artista quando si accinge a preparare l’impasto per la sfoglia sul tagliere di legno, considerato la reliquia della casa perché racchiude i sospiri e le speranze di intere generazioni.

Quale altra definizione puoi dare ad una persona che riesce a conoscere il mondo senza uscire dalla propria casa, dotata di una specie di grazia che fa convergere nel palmo della mano energia fisica, mentale, il senso di appartenenza alla cultura di un territorio.

Non esiste per il tortellino una legge assoluta.

Sono esseri viventi al pari delle creature. Riescono come riescono: imprevedibili, vari, capricciosi.

Il tortellino era il protagonista assoluto dei pranzi dedicati alle ricorrenze importanti della vita civile e religiosa, quando la maggior parte della gente faticava a mettere insieme pranzo e cena. Addirittura in occasione del Natale il bovaro ne metteva alcuni nella mangiatoia delle mucche come segno di riconoscenza verso chi condivideva in silenzio la fatica.

La zuppiera fumante in tavola, una visione armoniosa che esprime il senso del bene comune.

Si, perché  il tortellino va servito in brodo ed ognuno lo prepara ricordando la canzone della propria mamma per ritrovare i “profumi di casa” che lo hanno accompagnato nel labirinto della vita.

In queste occasioni il nonno stappava il lambrusco, quello chiaro, quasi rosa, profumato, secco, di fragile corpo.

Ermi Bagni
Atollo Dhigufaru Island Resort
Maldive
5 febbraio 2018

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