La Battagliola: un Lambrusco di qualità e di nicchia

Il nostro giro alla scoperta delle cantine che tengono alta l’immagine della Lambrusco Valley nel mondo del vino ci ha portati a Castelfranco Emilia. Qui, nella frazione di Piumazzo, abbiamo incontrato Alberto Salvadori, un imprenditore che a cavallo fra lo scorso millennio e il 2000 ha dato vita a un’attività vitivinicola che oggi imbottiglia e vende oltre 50 mila bottiglie di pregiato Lambrusco Grasparossa e riceve importanti riconoscimenti di qualità: l’Azienda Agricola La Battagliola.

 

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Alberto, qual è la storia dell’azienda agricola?

 

La storia dell’azienda coincide con gli ultimi 15 anni della mia storia personale, perché nel mondo del Lambrusco io sono l’ultimo arrivato.

Mia mamma Anna Maria mi ha lasciato in eredità questo terreno seminativo, che aveva a sua volta ricevuto in eredità da mio nonno. Nel 2001 ho iniziato a piantare le prime barbatelle.

Non saprei dire bene perché ho iniziato. Io sono sempre stato abituato a calcolare bene ogni mio passo prima di compierlo, in modo da prevederne gli effetti anche dal punto di vista economico. Ma qui in campagna è stato diverso: non ho fatto nessun conto. Sono convinto che, lasciandomi questo terreno, mia madre mi abbia affidato la missione di lasciarlo ai miei figli più bello rispetto a quando l’ho ricevuto. Sento come se le decisioni continuasse a prenderle lei, e io fossi soltanto il suo braccio terreno.

La mia famiglia si è unita quindi all’attività della famiglia di Lorenzo Barbieri, che ancora oggi è il cantiniere e che con le sue competenze ha contribuito tanto alla crescita della Battagliola.

 

Il secondo anno di attività abbiamo dovuto ricominciare tutto da capo, a causa di una forte grandinata che ha colpito i nostri terreni. Evidentemente mia mamma si era distratta per un attimo…

Da lì in poi abbiamo continuato a piantare fino a raggiungere le 90 mila piante che oggi crescono sulla nostra terra.

 

Come ho già detto, sono l’ultimo arrivato, ma oggi posso dire con orgoglio di non essere affatto l’ultima ruota del carro, perché produciamo un vino di qualità con numeri soddisfacenti relativamente alle nostre dimensioni.

 

Tutte le attività sulle quali opera la mia famiglia qui e a Bologna, che è la mia città, sono attività di famiglia. Portare avanti un’attività familiare è impegnativo, una forte responsabilità.

 

Chi lavora nell’azienda agricola?

 

Io, che ancora oggi continuo a definirmi un bottegaio.

 

Il 31 dicembre 2012 ho dato le dimissioni dalla Presidenza della Fratelli Salvadori, l’azienda storica di spedizioni internazionali che fu fondata nel 1919 da mio nonno Ettore e che oggi è la decima ditta più antica al mondo nel settore a non avere mai cambiato proprietà. Ora l’ho affidata totalmente a mio figlio Tommaso, che però mi aiuta, promuovendo il vino quando si sposta all’estero.

Mia figlia Beatrice lavora a Milano in una multinazionale della pubblicità, però anche lei cura l’attività della cantina e in particolare la presenza sui media.

Ad accompagnarmi nel mio lavoro c’è poi un team molto valido:il cantiniere Lorenzo Barbieri, mio cugino Massimo Malaguti che cura la produzione dell’uva, l’enologo Emiliano Falsini, l’agronomo Luigi Bonato e i due venditori Beppe e Denisa.

 

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Oggi si ritiene felice di aver scelto di operare in questo campo?

 

Sì, anche se è un settore molto complicato.

Per me però è fonte di grandi stimoli perché vengo da un’azienda di servizi, mentre questa, pur essendo un’attività più piccola e nonostante la materia prima sia data dalla natura, è è un’attività industriale a tutti gli effetti. Che la materia prima origini poi dalla terra, è un ulteriore fattore di complicazione.

 

Come si contraddistingue la vostra metodologia di coltivazione?

 

Noi cerchiamo di contenere la produzione per dare un risultato ottimale: la vite di Lambrusco Grasparossa è una pianta vigorosa, e bisogna cercare, per ottenere un buon vino, di contenere il numero di grappoli. Per questo motivo d’estate diradiamo le piante.

In generale la cantina si distingue come produttrice di un vino di nicchia. Non produciamo un lambrusco da prima fascia di prezzo, e anche la nostra comunicazione, di conseguenza, è di nicchia.

A mio avviso l’immagine condiziona per oltre la metà le scelte del cliente, ed è quindi giusto che rispecchi la realtà che c’è dietro a ciò che si beve.

 

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A chi vendete?

 

Soprattutto nel sistema Horeca. Un 20% lo vendiamo all’estero, soprattutto negli Stati Uniti e in Cina. In Europa vendiamo qualcosa in Danimarca e Belgio.

 

Come vede gli sviluppi della cantina?

 

Impegnativi. Perché al momento siamo monoprodotto, facciamo solo Lambrusco Grasparossa con 50 mila bottiglie, ma l’intenzione per l’anno prossimo è di introdurre anche il Pignoletto.

Se a questo aggiungiamo la nostra intenzione di raggiungere l’obiettivo delle 100 mila bottiglie imbottigliate ci rendiamo conto che la strada che abbiamo di fronte è affascinante, ma in salita.

 

Cosa rappresenta il simbolo della cantina?

 

È un blasone che apparteneva alla famiglia di mia madre. Lo abbiamo sempre avuto in casa ed è la testimonianza di origini nobiliari. Ma non ho mai approfondito lo studio di questo aspetto.

 

Le parole sul blasone sono Saliens et Titillans, che significano Brioso e Frizzante. Ma queste le ho aggiunte io che sono amante del latino.

 

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E cosa significa La Battagliola?

 

È il nome che il terreno aveva al catasto. Mi è piaciuto il suo suono e credo sia una parola che si fissa bene nella memoria, perciò ho deciso di mantenerlo.

 

Come giudica l’ottenimento del Merano WineFestival Award dello scorso anno?

 

È stata una grossa soddisfazione. Perché il Lambrusco è una tipologia di vino che fino a pochi anni fa veniva considerata di serie B e a Merano si premia l’eccellenza dei vini italiani. Quindi per uno che è l’ultimo arrivato, come me, ricevere questo riconoscimento non può che essere una gran cosa.

 

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Qual è la sfaccettatura del mondo del vino che l’ha più sorpresa in questi anni?

 

 Il fatto che non esistono tipologie di vino buone e tipologie di vino brutte, esiste il vino che piace e quello che non piace. Prima di affacciarmi a questo campo ero convinto del contrario.

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