Storia del Lambrusco – 8° puntata

< 7° puntata

In una distinta di uve consegnate alla cantina ducale, datata 29 ottobre 1693, si leggeva trattarsi di un trasporto di Lambrusca. E ancora nei documenti relativi alla cantina Ducale segreta nell’anno 1748 si parlava di ingenti quantitativi di “uve forti nere” provenienti dalle varie zone del Modenese fra le quali Sorbara.

 

D’altronde negli ultimi decenni del ‘700, per l’intensificarsi delle comunicazioni e dei traffici con la Toscana, la Liguria, la Lombardia anche le esportazioni di vino subirono fortissimi incrementi, passando rispettivamente da 2.647 a 16.691 quartari e da 12.813 a 27.739 negli anni dal 1770 al 1794.

 

pinelli

 

Nel 1700 il Lambrusco e lo zampone erano definiti quali ghiottonerie che venivano donate, insieme alle maschere, ai principi e ai nobili di Modena (Dizionario storico-etimologico di Modena).

 

La pubblicazione “I vini Modanesi. Baccanale di un accademico dissonante colle annotazioni“, edita a Modena nel 1752, è preziosa come testimonianza per conoscere le qualità organolettiche riscontrate nel Lambrusco prodotto a metà settecento.

 

Il trattato è diviso in due parti, la prima è occupata dai versi dell’abate Vicini, la seconda invece dalle “Annotazioni in prosa e anonime” di Niccolò Caula.

 

Le preziose annotazioni costituiscono un elenco più o meno dettagliato di quasi tutte le uve e relativi vini della provincia di Modena.

 

Lambrusca è uva nera buonissima; – scriveva Caula – porta grande acqua; non però arriva alla bontà del Lambruscone; fa vino più gagliardo e gustoso. Il grappolo della Lambrusca è piccolo, ha grane piccole quasi come veccia e chiare”.

 

Il tappo e la bottiglia: il Lambrusco diventa attuale

 

Riferendoci all’epoca trattata, siamo nel 1600, dobbiamo evidenziare che, nel caso del Lambrusco, fino alla fine del 1700 l’imbottigliamento non diventò un’operazione di uso comune. L’evoluzione della bottiglia infatti fu lenta e furono solo gli inglesi i primi che apprezzarono l’uso di contenitori di vetro resistente alla pressione per la conservazione del vino per poi contenere l’esuberanza de tanto apprezzati spumanti francesi.

 

Immagine trovata su guity-novin.blogspot.it/

Evoluzione della bottiglia

 

A partire dal XVII secolo, in Inghilterra, si cominciarono a produrre bottiglie più spesse, più robuste e più scure oltre che meno costose, insieme alle bottiglie si cominciò a parlare sempre più diffusamente dei tappi di sughero come la loro migliore chiusura.

 

Questo semplice fatto impedì al Lambrusco per secoli di rilevare quella sua arguta e spumeggiante personalità che si esprime appieno solo nella spesso oscurità delle pareti di una bottiglia nostrana.

 

Nel 1818 Luigi Savani nel “Calendario delle Rustiche faccende”, per primo individuava una caratteristica olfattiva propria di una tipologia di Lambrusco ancor oggi inconfondibile. Si tratta del tipico aroma di viola del Lambrusco di Sorbara. “Fra i lambruschi primeggia quello che dà al vino l’odere di violetta mammola” scriveva Luigi Savani.

 

Il Lambrusco nell’800 celebra la sua immortalità nell’immaginario collettivo, forse grazie all’esperienza raggiunta nell’imbottigliamento, che ne rendeva un vino frizzante, estremamente piacevole in tutte le occasioni e soprattutto durante i festeggiamenti.

 

Nel 1835, nelle disposizioni per il pranzo di Natale a Corte, si legge infatti che dovranno essere messe a disposizione dei commensali “210 bottiglie di Lambrusco dell’anno”.

 

Continua…

 

Salva

1 Comment

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *