Storia del Lambrusco – 10° puntata

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Francesco Agazzotti

Nel 1867 Francesco Aggazzotti così si espresse: “Uva la più stimata nella provincia modenese: essa sola infatti produce il primo vino da pasteggiare tra i vini italiani, bevibile anche dopo pochi mesi”.

Descrivendo invece la Lambrusca di Sorbara Oliva annotò che: “Produce eccellente lambrusco dall’odore di viola specialmente alla successiva estate”, quindi la Resfosa, altrimenti detta Lambrusca di Spezzano o lambrusca dai graspi rossi, di cui “si appezzano i sentori di mandorla di persico”, un’uva di merito speciale, secondo Aggazzotti, appartenente ai Lambruschi di colle.

 

Il “Catalogo descrittivo” illustra poi la Salamina, o Majoletta o Uva di Corinto, descritta come “uva di discreto merito, ma vera specialità per i vini da famiglia (come diciamo noi modenesi)”.

 

Nella scala di merito Aggazzotti metteva questo vitigno tra i migliori lambruschi, superato solamente da quelli di Sorbara.

 

Un altro importante testimone della realtà viticola ottocentesca, che riguarda i Lambruschi, fu Antonio Mendola che nel 1868 scriveva: “le Lambrusche del modenese, segnatamente di Sorbara, prendono l’aria di piccoli Bordeaux e per tali li spaccia alcun mercante di Genova senza offendere il gusto dei bevitori”.

 

Estimatore del Lambrusco era Giosuè Carducci, che spesso recandosi a Modena, si tratteneva presso la trattoria di Grosoli (oggi ristorante Carducci) per bere anche in grandi quantità.

 

Disegno di Nasica (1901)

Disegno di Nasica (1901)

 

Se ne approvvigionava direttamente anche a casa propria, testimonianza è l’epistolario nel quale scriveva che avrebbe riempito “di gran lambrusco” la casa.

 

Nel 1979 scrivendo a Severino Ferrari, ricordava un pasto all’Annunziata in cui aveva bevuto dell’ottimo Lambrusco di Modena e ancora in un’alta lettera del 1887 ad Elvira Menicucci, scriveva che aveva bevuto Lambrusco a tutto pasto ospite del prof. Silingardi.

 

Per finire con il Carducci, divertente è la lettera all’editore Cesare Zanichelli, in cui nel 1893, si lamentava perché delle bottiglie ricevute in regalo ben sei erano risultate rotte e in ultima lettera alla contessa Lovatelli scriveva. “Non so se ella signora contessa che domeneddio fece apposta il lambrusco per innaffiare dell’animale caro ad Antonio abbate? Ed io per glorificare Dio e benedire la provvidenza mi fermai a Modena a lungo a meditare…”.

 

Continua…

 

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