Storia del Lambrusco – 7° puntata

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L’età moderna, finalmente si parla di Lambrusco!

 

L’età moderna, che inizia convenzionalmente con la scoperta dell’America nel 1492, è ricca di numerosi trattati riguardo la coltivazione della vite e alla produzione del vino.

 

Alcuni autori scrissero delle vere e proprie guide enologiche che si soffermano lungamente sui vini prodotti e le loro zone di produzione, le loro qualità organolettiche ed altre caratteristiche interessanti, che anche dopo 500 anni di storia sono incredibilmente attuali.

 

Esternamente moderna è la descrizione del Lambrusco che fece il medico romano Andrea Bacci, autore di una pregevole “Storia dei vini”, nel ‘500, scrivendo che: “Sulle colline di fronte a Parma, Reggio e Modena si coltivano le Lambrusche, uve bianche e rossicce, che danno vini di gusto delizioso e piccante, odorosi e spumeggianti quando si versano nei bicchieri”.

 

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Alla fine del XVI secolo la produzione di vino a Modena, come ricorda un documento del 1592, era abbondante, infatti si lavoravano più di 10.000 quartari di vino buono all’anno, pari a 50.905 litri, sicuramente di vini lambruschi.

 

La produzione del territorio modenese doveva essere affermata, se infatti ci riferiamo alle cronache del modenese Tommasino Lancilotti, dove si legge che nelle montagne modenesi si preparava il vino per il Duca di Ferrara e per la Marchesa di Mantova. D’altronde la coltivazione della vite, e quindi la produzione di vino, era incoraggiata anche dai nobili, proprietari dei terreni dove allignavano i rigogliosi vigneti e dalle comunità.

 

Incisione di Antonio Tempesta, 1599

Incisione del 1599

 

Si può dire infatti che per la coltivazione della vite si ponevano le cure più assidue, tanto che molti statuti, come quello frignanese del 1337, facevano obbligo ad ogni famiglia di agricoltori di piantare a vigne una certa quantità di terreno all’anno.

 

Anche Vincenzo Tanara, nella sua opera sull’agricoltura, edita nel 1644, descriveva in modo molto attuale il vitigno lambrusco, scrivendo: “La lambrusca, chi ne potesse havere vendemiata tardi, fa vino brusco, ma puro, piccante, raro, et è singolar dote della vite, che nel selvatico ancor riesca perfetta.”

 

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Il vino di cui parla Vincenzo Tanara, secondo alcuni studiosi, è già, non par dubbio, quel Lambrusco che oggi si produce nel Modenese e in altre province dell’Emilia, ce lo dicono le sue caratteristiche organolettiche,  descritteci dal Tanara con quelle parole stesse che anche ai giorni nostri ogni buon emiliano potrebbe usare a dirci le ragioni della sua preferenza per un lambrusco di Sorbara.

 

Il Lambrusco era poi molto apprezzato dalla nobiltà locale, come testimoniano i documenti di approvvigionamento delle corti e quelli di trasporto di cibi e bevande ai nobili fuori dal ducato.

 

Un rilevante esempio è la lista dei vini inviati a Roma e Tivoli, datata 1670, per allietare il colto palato del cardinale Rinaldo d’Este, in cui accanto al Trebbiano, alla Vernaccia e al Lacrima, troviamo tre fiaschi di Lambrusco, che se corrispondessero alla misura del fiasco modenese, dalla capacità di 40 litri circa, ci troveremmo di fronte ad una quantità esagerata che il cardinale consumava abitualmente.

 

Continua…

 

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